Drain Brain e “Missione Futura” nello spazio

Drain Brain è il progetto che vedrà l’astronauta italiana Samantha Cristoforetti nello spazio e di cui il Prof. Paolo Zamboni, del Centro Malattie Vascolari dell’Università degli Studi di Ferrara, è il responsabile. 

Obiettivo dell’esperimento

Nell’essere umano, la circolazione cerebrale è uno dei principali regolatori della fisiologia del cervello. Poiché sulla terra il gradiente gravitazionale è uno dei meccanismi principali per riportare il sangue dal cervello al cuore, il progetto ha la duplice finalità di migliorare le scarse conoscenze sulla fisiologia umana del ritorno venoso cerebrale in condizioni di microgravità e di realizzare un nuovo strumento diagnostico che possa essere utilizzato da pazienti affetti da malattie neurodegenerative.

Di recente infatti il gruppo del Prof. Zamboni ha identificato dellepatologie delle vene cerebrali extracraniche (CCSVI) con possibili meccanismi che influenzano l’insorgere e la prognosi di alcune malattie neurodegenerative. L’esperimento sulla ISS ha come obiettivo l’utilizzo di un nuovo apparecchio pletismografico, portatile e non invasivo, per studiare il ritorno venoso cerebrale in condizioni di microgravità, contribuire alla comprensione dei fenomeni di adattamento fisiologico e identificare possibili variazioni cronobiologiche del flusso sanguigno.


Descrizione del dispositivo

Il dispositivo consiste in un’unità elettronica portatile (PEU), un estensimetro disponibile in diverse lunghezze per adattarsi alle dimensioni di collo, gambe e braccia, e un’unità di memoria. L’astronauta effettuerà il test pletismografico in diverse condizioni respiratorie. I dati raccolti durante la sessione di misura verranno memorizzati nell’unità di memoria e attraverso questa trasferiti ad un laptop di bordo per la trasmissione a terra. L’acquisizione dei dati sarà effettuata dall’unità elettronica portatile che è alimentata a batteria. 

Ricadute a terra

Il pletismografo realizzato nell’ambito del progetto potrebbe diventare uno strumento diagnostico ideale delle patologie del tipo CCSVI.
Un prototipo di collare pletismografico è stato sviluppato e consente già misure riproducibili. Risultati clinici preliminari suggeriscono che il pletismografo cervicale ha un alto potenziale di utilizzo sia come strumento diagnostico che come strumento di monitoraggio post-operatorio non invasivo.

Il dispositivo consiste in un’unità elettronica portatile (PEU), un estensimetro disponibile in diverse lunghezze per adattarsi alle dimensioni di collo, gambe e braccia, e un’unità di memoria. L’astronauta effettuerà il test pletismografico in diverse condizioni respiratorie. I dati raccolti durante la sessione di misura verranno memorizzati nell’unità di memoria e attraverso questa trasferiti ad un laptop di bordo per la trasmissione a terra. L’acquisizione dei dati sarà effettuata dall’unità elettronica portatile che è alimentata a batteria.

L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti porterà con sé sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) uno strumento innovativo per misurare la circolazione cervicale. Tecnicamente si chiama pletismografo ed è stato messo a punto dal Centro malattie Vascolari dell’Università di Ferrara, diretto da Paolo Zamboni. Lo strumento che l’astronauta  indosserà durante la missione ‘Futura’, la cui partenza è prevista nel novembre 2014, darà modo di capire cosa succede in assenza di gravità al sangue. La trasmissione continua dei dati consentirà di capire se il ritorno del sangue dalla testa al cuore resta invariato rispetto a quello che accade sulla Terra oppure se si instaura un meccanismo adattativo che, studiato, potrebbe rivelarsi utile se applicato ai pazienti. Il pletismografo ideato da Zamboni, quando finirà la sperimentazione spaziale, rappresenterà un prezioso dispositivo che consentirà l’erogazione di medicina a distanza e quindi di diagnosi e cura di tutte quelle patologie riferibili alla Insufficienza venosa cronica cerebrospinale.

L’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e l’Asi stanno infatti avviando un progetto di telemedicina, KosmoMed, che andrà a  studiare l’accuratezza diagnostica della plestimografia cervicale trasmettendo dati non più dallo spazio, ma più semplicemente da un ambulatorio periferico a un centro di lettura e consulenza.

Gli esperimenti medici sono uno dei filoni più battuti dalla ricerca spaziale. Esplorare l’Universo non è solo utile per la conoscenza delle nostre origini e per cercare di decifrare i cambiamenti del nostro stesso pianeta e cercare quindi di anticipare quello che potrebbe succedere. C’è una varietà notevole di branche della conoscenza che vengono arricchite dagli esperimenti a bordo della Stazione spaziale internazionale. A partire, innanzitutto, dalla tecnologia che viene usata dagli astronauti per poter sopravvivere e che ha applicazioni anche terrestri. Basti pensare, per esempio, che l’80% delle imprese del manifatturiero utilizza tecnologie spaziali. Anche in ambiti all’apparenza molto distanti. Gli astronauti portano avanti più percorsi. Da un lato cercando di fare passi avanti per una futura sopravvivenza spaziale al di fuori dell’atmosfera terrestre. Sulla Stazione spaziale ci sono esperimenti per la coltivazione di ortaggi in orbita, per esempio. Contemporaneamente sottopongono i loro corpi a delle prove che chiariscono le reazioni all’assenza di gravità e che stimolano la ricerca medica con ricadute molto importanti per i pazienti terrestri.

Anche gli astronauti, durante la permanenza nello spazio, sono costantemente in cura. Vivere tra le stelle ha delle conseguenze importanti per il nostro organismo. Le ossa si assottigliano e si indeboliscono, tanto che, una volta rientrati, il rischio di fratture risulta aumentato rispetto a chi non è mai andato orbita.

Oltretutto aumenta la probabilità di avere calcoli renali e gli studi condotti dalla Nasa mostrano che la perdita di massa ossea dopo un mese di permanenza nello spazio è dell’1-1,5% del totale, proprio come quella che subisce in un anno una donna in menopausa. Peraltro questa perdita continua ancora per qualche tempo dopo il rientro a Terra.

Ci sono problemi poi anche a carico dei muscoli a causa della prolungata inattività, e si può verificare un abbassamento della vista per cause ancora parzialmente ignote. La scienza va avanti per tentativi, correzioni e ricerche. Così come è stato in passato, anche i sei mesi della missione ‘Futura’ di Samantha Cristoforetti possono rappresentare un piccolo grande passo verso il progresso.

http://www.asi.it

http://www.diregiovani.it/rubriche/scientificamente

Skip to content